PROLOGO: La casa era il vostro
tipico villino, legno, cemento e vetro, sistemato in prossimità del mare. La sola
abitazione nel raggio di svariati chilometri. Molta gente avrebbe pagato oro
per avere una casa così in una simile posizione.
L’uomo avrebbe pagato oro per andarsene di lì.
Ma non poteva. Era addestrato
a fuggire da una prigione di massima sicurezza, ad uccidere un uomo in almeno
una dozzina di modi diversi a mani nude.
E non poteva neppure fare
quattro passi sulla veranda, e meno che mai torcere un capello al suo
‘coinquilino’.
E così, rimuginando per
l’ennesima volta su quelle considerazioni, l’agente SHIELD consumava la sua
colazione insieme a un bambino di otto anni, davanti alla televisione intenta a
bombardarli con un programma di Cartoon Network.
L’uomo aveva deciso di odiare
le Superchicche oltre ogni limite umano.
Il bambino smise di mangiare i
suoi cereali per guardare con affetto l’uomo. “Oggi cosa facciamo, papà?”
Era incredibile, ma almeno il
ragazzino stava progredendo: da piccolo tiranno dei ‘Confini della Realtà’
stava, seppur molto lentamente, reimparando a percepire gli adulti come figure
di riferimento, non più da cui fuggire.
“Ti va di studiare un po’?”
chiese prudentemente l’uomo.
Il ragazzino ci pensò su un
po’, poi annuì. “Scelgo io la materia?”
L’uomo gli arruffò i capelli.
“Certamente.” Almeno, il ‘tutor’ elettronico non sarebbe andato sprecato, per
oggi. Evviva!
Il bambino si alzò in piedi.
Prese la ciotola dell’uomo, ed andò in cucina.
L’uomo si rilassò sul divano,
pensando Quanto tempo ancora? Non era
tanto la lentezza nei progressi, che lo preoccupava: era la concreta possibilità
che bastasse fare irritare quel piccolo mostro anche per un nonnulla, per
scatenare una furia capace di demolire in un attimo la casa e tutta la spiaggia
intorno.
L’uomo si accigliò. “Alex?”
costretto o no a fare da babysitter, i vecchi riflessi erano ancora lì. E il
silenzio che era seguito all’ingresso del bambino nel locale non gli piaceva
per niente.
L’agente si alzò in piedi.
“Alexander? Che succede?” Maledizione,
maledizione! Ho abbassato la guardia!
Non ci sarebbe stato il tempo
per altri pentimenti o riflessioni.
La casa esplose.
MARVELIT presenta
Episodio 8 - Quarto Scontro! Il Cuore di Luce del
Demone
Nei cieli sopra l’isola di
Santuaria, Atlantico del Nord
Saliva su, su, a una velocità da
fare impallidire qualunque caccia ultramoderno.
Una macchina dal corpo
umanoide, un colosso metallico alto trentacinque metri, inguainato da una
elaborata armatura grigia come l’acciaio. Le sole note di colore erano gli
occhi romboidali, gialli come il doppio paio di corna a ‘L’ che partivano dalle
tempie. Dorato era il fregio che andava dalla fibbia al torace, dove due
piastre scarlatte a ‘V’ tronca lo incastonavano. Grigie erano le ali a freccia
che partivano dal jetpack vomitante un doppio getto al calor bianco.
Era un difensore del mondo,
anche se assomigliava ad un demone; bene gli si adattava il nome di Mazinwarrior.
“Gente,
qui comincia a diventare noioso,” disse l’uomo seduto nella cabina di comando.
“Se continua così, divento l’incubo di un Club Millemiglia, altro che
addestramento.” La sua testa era coperta da un robusto casco integrale, ma il
tono di voce e la robustezza fisica, che l’uniforme imbottita esaltava, non
potevano che appartenere ad uno solo degli Shogun Warriors…
“Abbi pazienza, Lobo,” disse con voce quieta l’uomo
seduto nella sala comando: una figura anziana, con pochi capelli grigi
sopravvissuti alla calvizie ed un paio di baffoni pure grigi. Sul volto
affilato, portava un paio di occhiali a montatura tonda.
Intenti su altri pannelli,
stavano i ‘colleghi’ del Dottor Tambura:
Basque, poco più di un ragazzo, dai
capelli rossi e il camice verde. Sherna,
l’unico membro femminile dei Direttori di Base Astra. Charn, un pezzo d’uomo che sembrava più una buona forchetta che un
buon scienziato.
“È tranquillo come un bebè,”
disse Basque. “Chissà se lo sarà altrettanto, dopo…”
Nella sala erano presenti
altre sei figure: cinque di loro, quattro uomini ed una donna, indossavano le
tute blu, bianche e rosse dei Thunderiders.
La sesta, invece, era il sogno di ogni appassionato di motori: una donna
formosa e ben piantata, con indosso una tuta da meccanico macchiata di grasso e
dalle maniche arrotolate ai gomiti.
“Io non lo farei arrabbiare
eccessivamente, signori,” disse James
‘Honcho’ McDonald, il capo dei Thunderiders. “Tende a legarsela al dito,
dopo.”
“Se tu credi che il tuo amico
possa essere arrabbiato,” disse Cassio, il meccanico della base, “provate a
vedere che gli faccio se mi graffia il ‘Warrior.”
Tambura
disse, “Molto bene, Lobo: ora scendi in picchiata libera, in direzione della
base. Devi riuscire a riprendere quota quanto più vicino possibile alla
superficie. Vai.”
“Tutto qui?” il pilota spinse
in basso la cloche. “Mettiamoci un po’ di pepe, allora…”
Mazinwarrior compì un arco.
Nel momento in cui tornò a scendere, la voce di Lobo, attraverso
l’altoparlante, gridò, “SCRANDER IN!”
L’intero
jetpack rientrò nella schiena. Ora il super-robot era preda della forza di
gravità.
Basque fischiò, ammirato.
“Cavolo, ha fegato, quel pazzo!”
Nessuno dei Warriors commentò
-era il minimo che potessero aspettarsi, dal loro più irruento elemento.
“Io
lo uccido, giuro che lo uccido,” disse Cassio, pallidissima.
I suoi organi interni
minacciavano di volersi incollare permanentemente alle ossa, e le ossa sembravano
a stento in grado di tenersi insieme. Si sentiva gli occhi come due pomodori
premuti da una mano crudele.
Nonostante ciò, il pilota
stava sorridendo.
Cavolo, questa sì che è adrenalina!!
L’isola
si avvicinava velocissima.
“Procedere col programma,”
disse Tambura.
Charn
morse la pipa, ma la sua esitazione durò solo un attimo. “Difese avviate.”
Raffiche di plasma e di missili
esplosero nel cielo. E il robot si trovò di colpo nel centro del caos!
Ma Lobo non perse la calma:
mantenne la posizione di tuffo della sua macchina, avvertendo appena le
vibrazioni ogni volta che un colpo andava a segno. Più vicino…ancora più vicino…
“SCRANDER
DASH!” le ali riapparvero. Il robot si piegò ad arco, mentre il jetpack lo
rimetteva in quota in una manovra aggraziata. Passò talmente radente la
superficie da strappare via rocce con lo spostamento d’aria. Un missile che
stava uscendo in quel momento fu deviato, urtò contro il portello ed esplose.
L’esplosione fu segnalata come
un puntino rosso lampeggiante sul diagramma della base.
Il biondo Luke ‘Cowboy’
Merriweather si toccò la tesa del cappello che gli valeva il nomignolo. “L’ho
sempre detto: una roccia.”
“Una prestazione
insoddisfacente, Lobo,” disse invece Tambura. “Dovevi tenere le ali per tutta
la discesa, imparare a stabilizzare la caduta. Se avessi attaccato la base del Dottor Demonicus in quel modo, saresti
stato esposto al fuoco senza potere reagire in tempo…”
“Ma dove sta andando?” si
chiese Sherna da dietro i suoi occhialini angolari. “Lobo, non ci sono altre
esercitazioni programmate, per oggi. Ritorna alla base.”
Lo schermo si accese,
mostrando il pilota con la visiera sollevata. “Niente da fare, cervelloni.”
“Lobo…” fece Tambura.
“Pausa pranzo: il sottoscritto
ha voglia di farsi una birra in un vero bar e scambiare quattro chiacchiere con
dei vecchi amici. Se qualcuno vorrà schiacciare il pulsante di fine ti monto,
ci sono sempre gli altri. Hasta la vista!” fece un cenno di saluto con la mano
e a quel punto lo schermo si spense.
I quattro scienziati si
voltarono all’unisono a guardare verso gli altri piloti.
“Noi
ve l’avevamo detto,” fece Cowboy.
Oceano Indiano
Per la precisione, sul fondo
dell’oceano, dove giaceva un castello dalla pianta a teschio, in mezzo ad una
corona di fumarole attive: il Castello del Diavolo, la base del Dottor
Demonicus…
“È un dato di fatto: gli
Shogun Warriors non colpiranno un innocente. Ed io intendo sfruttare fino in
fondo questo fattore, su entrambi i fronti nel prossimo attacco. In un modo o
nell’altro, riuscirò a soddisfare le sue aspettative, Dottor Demonicus.” A
parlare era un uomo dall’espressione maliziosa più che maligna, vestito di un camice
bianco e dai capelli corti di un biondo pallido.
“Voglio sperare che sia così,
Dottor Smith. L’uso di una simile tattica, in precedenza, si è rivelato
fallimentare[i]…ma,
viste le premesse, questa volta, voglio concederle una chance.” A rispondere
era una figura in una sinistra armatura viola e blu, con un elmo cornuto a
forma di teschio.
Il Dottor Smith fece un
inchino. Lo schermo si spense.
Demonicus tornò a concentrarsi
su un ben più grave problema…
Lo schermo si riaccese,
mostrando tre scheletri metallici corrosi. Tre scheletri che, fino a poco tempo
prima, erano stati i suoi speciali prigionieri: gli originali Shogun Warriors.
Tre LMD.
“Dunque, i vostri angeli
custodi, i Guardiani della Luce, avevano anticipato le mie mosse…ma ammetto che
è stata una grave colpa di Lord Maur-Kon il credere di avervi sterminati,
lasciando così loro il tempo di organizzarsi...
“Ma
non importa quanto bene vi siate nascosti: chiuderò i conti sospesi anche con
voi, e so già come.”
Florida
“Questa proprio non ci
voleva,” disse il ragazzo, scrutando il cielo. “Neanche un filo di vento. Mi
toccherà remare fino alla costa.” Sbuffò, mentre prendeva i remi. “Obbe’, tanto
vale darsi da fare…” uno scintillio colse la sua attenzione. “Um?”
Pochi istanti dopo, il
Mazinwarrior sfrecciò sopra la barca. Il ragazzo si aggrappò appena in tempo al
bordo, urlando, mentre l’imbarcazione veniva spinta come una foglia dallo
spostamento d’aria!
“E fin qua tutto bene,” disse
Lobo. “Adesso vediamo se qualcuno di quei disgraziati respira ancora…” La città
sotto di lui non era cambiata, nonostante la Guerra dei Mondi. E, sì, la piazza
sembrava essere rimasta la stessa.
Era orario d’ufficio, e in
quella zona industriale di periferia non c’erano pedoni, e il traffico era
alquanto ridotto. Ciononostante, le poche auto in circolazione, alla vista del
colosso atterrare nel cortile di un autodemolitore, o frenarono di colpo,
facendosi tamponare, o i loro guidatori le fecero finire fuori strada. Ci fu un
generale affacciarsi alle finestre ed alle porte di impiegati e dirigenti da
ogni edificio.
Le ali del robot rientrarono
nella schiena.
Lobo si tolse il casco e
slacciò la cintura. Guardò incuriosito dalla calotta. “Ma tu guarda questi
qui…come se non avessero mai visto un robottone in vita loro.” Digitò un
pulsante sul bracciolo.
Una botola si aprì sotto la
sedia, che scomparve nel pavimento.
Il pilota percorse il tunnel
di emergenza fino a raggiungere il piede destro del robot. Giunto a
destinazione, scelse dal sedile e si avviò verso il portello…
Stava per premere il pulsante
di apertura…quando un paio di occhi inumani brillarono alle sue spalle! Lui non
li vide, ma una vita passata ad affrontare i pericoli gli diceva di non essere
solo. Si voltò, estraendo la sua pistola dalla fondina ascellare. “OK, furbone,
game over!”
Nel cortile, un uomo dalla
stazza appesantita da troppe birre e cibo spazzatura, con indosso una tuta blu
costellata di macchie e un berretto rosso messo a rovescio, uscì dal piccolo
blocco di calcestruzzo che era il suo ufficio. Imbracciava un fucile
perfettamente curato, e nella bocca contratta in un ghigno bellicoso teneva un
mezzo sigaraccio spento.
Al fianco dell’uomo procedeva
un gigantesco rottweiler dalle zanne scoperte.
“Tranquillo, Diablo: grande e
grosso o no, nessuno può entrare nel mio
cortile senza il mio permesso!”
L’uomo arrivò a qualche metro dalla macchina e puntò la sua arma. Il cane diede
un paio di abbai come un forsennato. “Allora, intruso. Conto fino a tre, poi ti
imbottisco di pallini che è un piacere! Fatti vedere, o…”
In quel momento, una porta
scorrevole si aprì…e Lobo rotolò fuori, festosamente aggredito da una strana
creatura, da un grigio lupo antropomorfo, per la precisione.
“Maccheccaz…” l’uomo abbassò
il fucile. Il cane uggiolò. “Lobo? Sei davvero tu?”
Il pilota del robot si scostò
di dosso il lupo umanoide. Si rimise in piedi. “Pops! Lo sapevo che nemmeno i Marziani potevano scalfire la tua pellaccia!”
Intanto, il cane si era
avvicinato alla creatura. Sporse la testa in avanti, annusando cautamente.
La creatura rispose con un
sorriso peggio di una tagliola. Il cane si rifugiò terrorizzato fra le game di
Pops. “E quel coso cos’è?”
“Oh, lui è Rover,” rispose
Lobo. Accanto a lui, l’animale se ne stava a coda alta, tutto orgoglioso. “È un
lupo geneticamente modificato, intelligente come un coyote. Non so come faccia,
ma riesce a sfuggire ad ogni scansore o sensore…” notando finalmente lo sguardo
un po’ inebetito di Pops, Lobo sospirò. “Fai finta che l’abbia fatto la
Disney.”
Pops abbassò il fucile. “Io di
questi OGM non ci capisco una mazzola, ma se mi assicuri che è vaccinato, mi
sta bene.” Sorrise, e posò una manona bisunta sulla spalla dell’amico. “Ma
guarda te come ti sei conciato! Che fine ha fatto il completino che ti avevo
regalato?” Si riferiva al gilet, alla canottiera ed ai jeans che erano stati da
una vita l’uniforme del motociclista.
“È alla base, insieme a tutte
le mie cose. Quella che mi vedi addosso è la tuta da lavoro, ora: sono il
pilota di quello.” Indicò il robot con un pollice. “Niente male, eh? Non
troverai una moto capace di stargli dietro.”
Pops si mise il fucile in
spalla. Scosse tristemente la testa. “Cosa devono sentire le mie vecchie
orecchie. Il ragazzo che ho amato come un figlio, a cui credevo di avere
insegnato tutti i trucchi del mestiere, mi diventa un finocchietto tutto
fronzoli. Dove ho sbagliato?”
La coppia si diresse verso il
cubo in calcestruzzo, seguita dagli animali. “Non hai sbagliato nulla, Pops,”
rispose Lobo, mettendogli una mano consolatoria sulla spalla. “Avrei reagito
come te, se mi avessero detto che avrei finito col fare il pilota di robot a
salvare il mondo, quando pensavo che il mondo fosse solo un accessorio della
mia moto.
“Prova a dirmi che i tempi
cambiano, e ti faccio male davvero, ragazzo. Piuttosto…” parlando, erano
arrivati all’edificio. Pops aprì la porta. “…Sai qualcosa degli altri ragazzi?”
Lobo scosse la testa. “A dire
il vero, speravo che tu ne sapessi
qualcosa. Li ho praticamente persi di vista dopo essermi messo con il Team America[ii]…”
Il vecchio ridacchiò,
accarezzandosi la barba di due giorni. “Ah, sì, quelli erano giorni in cui ero
orgoglioso di te, ragazzo: anche quelle due o tre volte che avete perso, avete
perso con stile. E quando vincevate, li travolgevate tutti.” Si sedette
stancamente sulla poltrona, lasciandosi il fucile in grembo. “E io resto qui ad
aspettare che arrivi il mio ultimo giorno. Lo sai? Non sono riuscito a tirare
fuori un solo altro ragazzo dalla strada, dopo di te.”
“Pops…”
Un cenno stanco. “Lo ammetto:
dopo di voi branco di scombinati, non sono riuscito più a combinare un piffero.
Ho perso la forza di ricominciare… E poi, da queste parti sono diventate tutti
uffici, ormai. Quasi tutte le fabbriche sono state trasferite all’estero. Le
famiglie sono fatte di pendolari. E io sono l’ultimo dinosauro, ragazzo.
Passami un po’ una birra, va’.”
Lobo andò al frigo e lo aprì,
rivelando un interno pieno di macchie di muffa. Lattine di birra giacevano
accanto ad avanzi di cibo non meglio definibile.
Prese una lattina e la lanciò
a Pops -un altro, al suo posto, gli avrebbe detto di darsi una scossa, avrebbe
tirato su un gran discorso sull’essere utili anche nella quinta età e tutte
quelle balle lì.
Ma Lobo rispettava Pops. Il
vecchio era stato il suo mentore, la sua guida. Non lo avrebbe chiuso in una
‘struttura sociale’, non lo avrebbe allontanato da casa sua. Pops aveva vissuto
una vita piena e felice, a suo modo: se avesse trovato una nuova ragione di
andare avanti, lo avrebbe fatto da solo, non con un volenteroso tutore a
‘guidarlo’ per guadagnarsi qualche punto di merito.
Lobo diede un’occhiata al
resto dell’ufficio/appartamento: non era così male, qua e là si vedevano ancora
delle macchie di ordine in mezzo al casino. Se un ufficiale del fisco avesse
voluto dare un’occhiata ai documenti contabili, avrebbe fatto meglio a portarsi
un chilo di psicofarmaci per farsi coraggio.
Lobo guardò fuori dalla
finestra. Insomma, il posto non era cambiato, da quando Lobo era davvero un
ragazzino, un mocciosetto permanentemente arrabbiato con tutto il mondo.
Allora, ci abitavano ancora delle famiglie, in questo quartiere; lui era
diventato prematuramente orfano, e aveva trovato rifugio in un branco di
coetanei allo sbando…ma anche lì, non era che facesse faville quanto a
socialità, così si era meritato il nome di ‘lupo solitario’, Lobo appunto. Lo
tenevano con loro solo perché menava più forte di tutti.
Senza neppure concentrarsi,
poteva ancora vedersi intento a scappare via dal cortile di Pops con in mano la
lattina degli spiccioli del burbero vecchio -una prova di coraggio che lo
avrebbe invece portato a conoscere un omaccio che tutti evitavano o snobbavano.
Pops era un genio con i motori, aveva un carburatore al posto del cuore e
l’olio da motori nelle vene; avrebbe trasmesso la sua passione a Lobo per primo
ed ai suoi ‘amici’ poi…
“In un certo senso, sono
contento che non ci siano più ragazzi da aiutare,” disse Pops, spezzando il
filo dei pensieri. “Almeno, in questo quartiere non ci sono più dei disgraziati
costretti a crepare per la pagnotta. Gli operai di questa generazione non si
rendono conto della fortuna che hanno…finché dura, certo.”
Lobo annuì. “Alla base abbiamo
una che ama i motori quanto te: si chiama Cassio.”
“Non è un mio parente, ‘sto
tizio.”
“È una donna. Una pupa da
sballo. Ti assomiglia.”
“Allora sposatela. Una donna
che i motori li ama davvero non si trova in giro tutti i giorni: sono tutte
sgualdrinelle pronte a posare per una rivista sexy, ma quanto a capirci
qualcosa di motori…” rabbrividì.
In quel momento, si udì un
ringhio inconfondibile dall’esterno!
“È Rover!” Lobo scattò veloce
alla porta. Anche Pops si mosse con rinnovata energia.
La porta fu aperta. Lobo e lo
sfasciacarrozze si trovarono di fronte ad uno spettacolo singolare: Diablo e
Rover che mostravano i denti a…un ragazzino. Un bambino di otto anni, dai
capelli biondi, immobile. Il suo volto era una maschera cupa.
Lobo non aveva bisogno di
essere un esperto di lupi, per capire che Rover stava valutando il miglior modo
di attaccare il nuovo venuto. “Rover, fermo! Pops, conosci questo bambino?”
Pops scosse la testa. “Mai visto
prima... Cristo, guardagli gli occhi!”
Lobo li guardò -non c’era
dubbio, erano attraversati da lampi di energia!
“Nessuno mi farà più del
male,” disse il bambino, con una voce intonata alla sua espressione. “Nessuno!” ripeté, sollevando di colpo le
mani. Facendo partire da esse una scarica di energia!
Fortunatamente, non era stato
abbastanza veloce: Lobo si gettò a terra all’ultimo istante “GIÙ!”, spingendo a
terra anche Pops. La scarica passò ad un pelo dalle loro teste, finendo col
demolire un bel pezzo del tetto.
Rover reagì per primo: si
scaraventò addosso al bambino, gli artigli tesi e pronti ad affondare nella sua
gola…ma il suo ringhio si trasformò in un uggiolio di dolore, quando, invece
della carne, incontrò un bruciante campo di energia!
Lo
sforzo del lupo non fu vano: il bambino cadde a terra, ed anche se non si era
fatto un graffio, i suoi occhi erano terrorizzati.
“Che
diavolo gli ha preso?” Smith, dalla
sala comando della fortezza volante di Demonicus, serrò il pugno. “Perché se ne
sta lì a farsela sotto? Il condizionamento doveva essere totale!”
“Eccolo!” Sherna trasmise la
foto e la scheda sullo schermo principale. “Alexander Woolcot, aka Ashcan: è
stato mutato da un incidente di laboratorio. Lo SHIELD lo ha catturato in
circostanze poco chiare qualche anno fa[iii],
nascondendolo a turno in varie località negli USA per evitare che venisse
rintracciato.”
“Evidentemente non ha
funzionato,” disse Basque. “Scommetto quello che volete che c’è Demonicus
dietro a questo attacco.”
“E
vinceresti,” disse il Prof. Charn. “Colgo tracce residue di teletrasporto in
quell’area… Lobo, mi senti?”
Lobo ascoltò, attraverso il
comunicatore nella mascella. “Ricevuto forte e chiaro. Quindi il pupo è sotto
qualche forma di controllo a distanza? E come faccio a spegnerlo?” Osservò con
non poca preoccupazione Rover che, di nuovo in piedi, stava tenendo il bambino
d’occhio, ringhiando come un ossesso. Non lo aveva mai visto incazzato, era
qualcosa da mettere paura.
“Andrà tutto bene fin quando
Rover gestirà la cosa,” rispose Tambura. “Per qualche ragione, gli esseri umani
sono terrorizzati dai lupi a un livello primordiale: Alexander è troppo
spaventato per pensare di contrattaccare. Appena lo avremo agganciato col
teletrasporto, lo porteremo alla base…”
“Non credo che ne avremo il
tempo,” lo interruppe Lobo.
Infatti, l’espressione di
Alexander stava passando rapidamente dalla paura ad una rinnovata rabbia. Serrò
i denti, mentre gli occhi diventavano due pozze ribollenti…
Rover non si fece cogliere di
sorpresa, e si limitò a saltare di lato per evitare una nuova scarica.
Alexander si alzò in piedi.
Urlò, mentre le mani riprendevano a lanciare colpi.
Un cumulo di rottami fu
colpito ed esplose, lanciando una pioggia di schegge. Pops si protesse la testa
incrociando le mani sulla nuca.
Lobo, a quel punto, reagì
altrettanto istintivamente: fece un salto alto, all’indietro. “AXELOT!” gridò,
richiamando a sé la forza ESP che condivideva con gli altri Thunderiders. La
sua figura fu avvolta da un bagliore accecante.
Quando atterrò, al suo posto
c’era il gestalt in armatura grigia e
scarlatta.
Alexander, o meglio chi lo
controllava, non ne fu impressionato: il bambino fu spinto a rinnovare il suo
attacco.
Axelot fu altrettanto veloce:
afferrò un lembo del proprio mantello e lo usò come scudo. Il colpo si infranse
contro lo speciale tessuto rifrangente…ma non del tutto. Una grossa macchia
carbonizzata rimase sul mantello.
Axelot saltò per evitare una
nuova scarica. Dalla sua schiena, spuntò una lancia. La afferrò.
Il segmento superiore si aprì,
rivelando la triplice lama a giglio dell’alabarda.
Axelot fece compiere un arco
alla sua arma. Le lame brillarono, e rilasciarono una scarica di energia. Il
colpo si infranse a terra, ai piedi di Ashcan, che si parò istintivamente gli
occhi.
“Professori, i cervelloni
siete voi! Che cosa faccio?” chiese Axelot, atterrando, l’alabarda tesa come
uno scudo.
“Non hai molta scelta,” rispose
Sherna. “Usa l’elettrochoc. Devi stordirlo subito, prima che l’overdose di
stimoli dall’esterno lo porti al collasso cerebrale.”
Axelot annuì.
Alex rinnovò il suo attacco.
Il Gestalt parò con le lame
dell’alabarda. Aspettò quell’intervallo necessario al bambino per ricaricare le
batterie…e lo colpì in pieno con un colpo elettrico sparato dal diadema sulla
fronte.
Alexander si irrigidì, i
capelli dritti, per poi cadere a terra.
La figura di Axelot si
dissolse, lasciando riapparire un ansimante Lobo -l’effetto-Gestalt lo lasciava
sempre spompato. “Pops, attento!”
L’altro si era avvicinato per
primo alla figura inerte. Si fermò un attimo prima di posare la mano sulla
fronte di Alex. “Cosa c’è?”
“Fra la scossa che gli ho dato
e il suo potere, non credo che sia…” tacque, osservando l’anziano prendere in
braccio il ragazzino. Pops gli diede un’occhiata gelida che lo gelò sul posto.
“Giovanotto, mi deludi.
Credevo di averti insegnato meglio di così.”
Lobo fece per ribattere…quando
una specie di sole si accese sopra di loro!
Uomini ed animali guardarono
verso l’alto… “Lo sapevo!” sibilò Lobo. Rover ringhiò.
Pops non disse una parola: la
sua espressione pallida diceva abbastanza. Diablo se la squagliò nella cuccia,
sulla quale espose prontamente un cartellino di ‘Fuori Servizio’.
Il
Mechamostro era arrivato!
Con
calma, Smith disse, “Vai, Cinder-D3!
Prendi il bambino e annienta quel maledetto Shogun Warrior! Maledetta
bestiaccia, se non si fosse messa di mezzo…”
Il colosso metallico aprì la
bocca, dalla quale partì un raggio di luce.
Pops e il bambino ne furono
avvolti. L’uomo chiuse istintivamente gli occhi.
La figura di Alexander fu
sollevata in aria. L’uomo cercò di rinforzare la presa, ma era già troppo
tardi. In preda del raggio traente, Alex volò verso la bocca del robot.
Lobo e Rover raggiunsero il
piede del loro robot.
Appena furono dentro, Lobo
saltò sulla sedia. “Vieni su, dai!” fece al lupo.
Rover gli saltò in grembo,
aggrappandosi al collo, giusto mentre il sedile partiva verso l’alto.
Alexander fu inghiottito da
Cinder-D3.
Il suo corpo fu depositato in
una specie di bozzolo. Un reticolo di cavi si agganciò al suo cranio ed alle
giunture dei suoi arti. Un casco si serrò sulla sua cervice.
I
suoi occhi si aprirono. Il suo volto rifletté l’espressione maliziosa di Smith.
“Muori, Shogun Warrior!” disse con la sua voce di bambino.
Lobo arrivò alla cabina appena
in tempo per vedere il Mechamostro sollevare un braccio.
Saggiamente, Rover scese a terra
e si mise dietro lo schienale del sedile, aggrappandosi come ad un salvagente.
Una scarica di energia partì
dalla mano di Cinder-D3, diretta al cranio del super-robot.
Mazinwarrior la parò
incrociando le braccia, anche se barcollò all’indietro per il contraccolpo.
“Cavolo, se picchia duro!”
Lobo manovrò sulla cloche. “Meglio portarlo via di qui, o a Pops non resteranno
neppure le lacrime per piangere. Vai!”
Mazinwarrior scattò in avanti!
Afferrò per la vita il Mechamostro. Il super-robot fece un salto. “SCRANDEER
DASH!”
Il getto dei propulsori fece
un macello di diversi cumuli di rottami, senza contare il numero di finestre
che andò in briciole nelle vicinanze, ma almeno i danni furono contenuti,
mentre i due combattenti si involarono nel cielo.
“E ora, uovo di pasqua
malfatto, vedi di restituirmi la sorpresa. GIÙ!” Mazinwarrior gettò il nemico
contro una vecchia fabbrica. Il capannone di montaggio dell’edificio andò in
briciole. L’impatto sollevò una fitta nuvola di polvere.
Lobo scrutò quel casino con
ogni sensore a disposizione…quando vide due grosse macchie apparire sullo
schermo. “Cavolo!”
Mazinwarrior riuscì ad evitare
la prima scarica, ma la seconda lo colse in pieno petto! Il robot cadde a
terra, proprio mentre il Mechamostro usciva dalla nube di polvere.
“Ungh!” lo Shogun Warrior non
ebbe fatto in tempo a toccare terra, che scariche di energia si riversarono
sulla sua schiena.
Nella cabina, Lobo serrò i
denti. Lo stesso sistema a interfaccia mentale usato per trasmettere i
movimenti al robot trasmetteva dolorosi feedback quando la macchina veniva
attaccata, per evitare che la si sottoponesse involontariamente ad uno stress
eccessivo. “Maledizione…non posso fare la figura del dilettante per mano di
quel moccioso…”
Il jetpack rientrò nella
schiena. Mazinwarrior si voltò. I suoi occhi si accesero. “RAGGI FOTONICI!”
Una coppia di laser
frastagliati partì dagli occhi; il braccio destro di Cinder-D3 fu colpito in
pieno all’altezza del gomito, che andò in pezzi. E la macchina, con la voce di
Alex, urlò.
“No…” Sotto il casco, Lobo
impallidì.
“Anche il bambino è
interfacciato neuralmente, come te,” disse Tambura. “Ogni danno che infliggi al
robot si rifletterà sul suo corpo.”
Mazinwarrior e Cinder-D3 si
fronteggiarono, muovendosi in cerchio. “Se avete delle idee, allora, è il
momento di tirarle fuori.”
Il Mechamostro sollevò il
braccio buono, e lanciò una nuova raffica di energia. L’altro robot la evitò, e
quella andò ad infrangersi contro un comignolo, incenerendolo.
“Non
possiamo andare avanti così per sempre,” disse Lobo. “Che cosa faccio?”
Tambura, le braccia incrociate
al petto, tenne il volto basso, concentrandosi su una soluzione utile…
Finalmente,
riaprì gli occhi. “Lobo, c’è qualcosa che si può fare. È terribilmente
rischioso, e richiede un tempismo eccezionale…”
Cinder-D3 sparò ancora una
volta. Il colpo, questa volta, scavò un cratere nella strada vicina.
Lobo non osò pensare a quello
che sarebbe successo se quella fosse stata un’autostrada… “Non è il momento di
sindacarci su! Sputi il rospo!”
E
Tambura lo fece.
“Che le dicevo, Dottor
Demonicus? Se anche osassero presentarsi gli altri Shogun Warriors, basterà
minacciare l’autodistruzione di Cinder-D3 per renderli docili come cagnolini.
“E
allora perché stai perdendo altro tempo? Manda in azione i Mechamorfi! Fai a
pezzi quella macchina prima che i maledetti Seguaci della Luce possano studiare
un contrattacco!”
“Dio onnipotente, aiutami…”
Lobo strinse i denti, mentre spingeva la cloche in avanti.
Di nuovo proteggendosi il
cranio con le braccia incrociate, Mazinwarrior corse verso il Mechamostro. Lo
placcò ed entrambi finirono a terra. Il super-robot afferrò il braccio sinistro
di Cinder-D3, e lo tenne inchiodato al suolo.
“Se credi che basti,” disse
Smith attraverso Alex “ti sbagli di grosso!” Il ventre del Mechamostro si
illuminò. L’energia sgorgò contro il ventre di Mazinwarrior!
Lobo si sentì come se gli
avessero infilato un tritacarne nello stomaco, ma non mollò la presa.
“Scusami…piccolo…” mormorò. Poi, a voce più alta, “THUNDEERSTORM!!”
Pesanti nubi si addensarono
sui due contendenti.
Poi quelle nubi vomitarono una
pioggia di fulmini, tutti diretti sulle doppie corna del Mazinga! Il corpo del
robot si trasformò in una torcia elettrica, coinvolgendo Cinder-D3. Il robot
nemico si contorse, quasi rischiando di sbalzare via il suo avversario…per poi
ricadere, inerte.
Mazinwarrior usò la mano
libera per afferrare la mandibola del Mechamostro. Sotto le dita di superlega
il metallo si accartocciò, e infine la mascella venne strappata via.
A quel punto, la calotta della
cabina di Mazinwarrior si aprì. E Rover saltò nella gola del robot.
Guidato da un istinto
infallibile come i suoi sensi, la creatura nata dalla commistione di natura e
scienza corse agevolmente lungo il budello, fino alla porta blindata che
proteggeva la cabina di guida.
Senza esitare, Rover piantò
gli artigli di entrambe le mani nel metallo, e questo fu penetrato come burro.
Rover tese i muscoli, serrò le
zanne, e tirò.
La porta fu divelta. Rover,
ansante, la appoggiò alla parete ed entrò nella cabina.
Alex
giaceva nel suo bozzolo, svenuto dopo quell’ultimo elettrochoc. Rover staccò
tutti i collegamenti, se lo caricò in spalla e corse su per il budello,
procedendo a salti da una parete all’altra.
“Allora, maledetti
disgraziati, branco di inetti! Quanto vi ci vuole
per ripristinare almeno il dispositivo di autodistruzione?” Solitamente, Smith
era la calma personificata…quando le cose andavano bene. Di fronte ad una
crisi, diventava isterico come una donnicciola.
“La
scarica elettrica ha interrotto i sistemi, signore,” rispose uno dei soldati
alle consolle. “Ci vorrà ancora un minuto.”
Nella sala comando di Base
Astra, molte paia di occhi seguirono in un teso silenzio lo sviluppo della
situazione. Il margine di sicurezza era davvero minimo…
Mazinwarrior e Cinder-D3 erano
ancora avvinghiati, quando il robot nemico si illuminò.
Ed esplose!
Tambura rimase impassibile.
Gli altri Thunderiders erano pallidissimi, gli occhi sgranati. Un’esplosione di
quella potenza, a distanza ravvicinata…
I secondi scorsero
interminabili. Il fungo dell’esplosione non si era ancora del tutto
dissipato…quando una titanica figura emerse, camminando.
“Solo
lui poteva farlo,” commentò Basque. Nessuno dei cavalieri ebbe da ridire.
Mazinwarrior, le mani chiuse a
coppa, tornò dallo sfasciacarrozze, proprio mentre le ambulanze ed i mezzi
della polizia arrivavano in forze.
Il robot si avvicinò ad una delle
ambulanze, e si chinò a terra. Aprì le mani, rivelando Rover e il bambino fra
le sue braccia. “Il bambino si chiama Alexander Woolcot. Ha bisogno di cure
mediche immediate,” disse Lobo. Un Rover dalla pelliccia annerita porse Alex a
un esterrefatto poliziotto.
Il robot si levò in piedi. Si
portò la mano alla testa, lasciando che il lupo saltasse a bordo.
Lobo guardò verso Pops. Vide
l’uomo salutarlo col braccio. “Professori? Ho un favore da chiedervi…”
Lo sfasciacarrozze stava
tornando verso quello che restava della sua casa, quando udì di nuovo la voce
amplificata.
“Pops. Occupati tu di Alex,
fin quando ti sarà possibile.”
Il volto dell’uomo si illuminò
tutto. Si voltò; si mise le mani a coppa intorno alla bocca e gridò, “Ne farò
un tale campione che un giorno ti ruberà il posto, ingrato ragazzaccio!”
“Ci conto, vecchio mulo. E non
ti preoccupare per la casa, ti pagherò io il conto dei danni…te lo devo, no?”
“Come
minimo, figliolo. Come minimo.” Pops levò il pollice.
“Io non so come scusarmi,
Dottor Demonicus! Ero sicuro, avevo calcolato…”
“Ucciderla avrebbe poco senso,
Dottor Smith,” rispose Demonicus dallo schermo. “In fondo, sei il solo che sia
riuscito a sconfiggere gli Shogun Warriors originali, a suo tempo. La prossima
volta, tuttavia, collaborerai attivamente con Lord Maur-Kon ad una strategia
comune. Se fallirete anche insieme, vi punirò in modi che ancora non avete
immaginato.”